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Quando i maltrattamenti non sono punibili

Nota a:
Cassazione penale, Sezione VI, 7 19 aprile 2017 , n.27088

Titolo:
Quando i maltrattamenti non sono punibili

Autore:
Vieri Adriani- Avvocato

Classificazione:
MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA O VERSO FANCIULLI - In genere

1.La massima. “Per l'integrazione del delitto di cui all'art. 572 c.p., è necessaria una condotta di vessazione continuativa, che, pur potendo essere inframmezzata da periodi di "calma", deve costituire fonte di un disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita, poiché altrimenti deve escludersi l'abitualità del comportamento, implicita nella struttura normativa della fattispecie, ed i singoli fatti che ledono o mettono in pericolo l'incolumità personale, la libertà o l'onore di una persona della famiglia, conservano la propria autonomia di reati contro la persona”.

2. Il fatto. il Tribunale di primo grado condanna l’imputato per il reato di maltrattamenti in famiglia in danno della moglie, contestato come commesso mediante spinte, percosse anche produttive di lesioni, ingiurie e comportamenti umilianti. La Corte di Appello, invece, lo assolve perché il fatto non sussiste, dichiarando altresì  non doversi procedere nei confronti del medesimo per il reato di lesioni personali, per essere detto reato estinto per remissione di querela.
Ricorre il Procuratore Generale, con due motivi, lamentando
sia violazione di legge in riferimento all'art. 572 c.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), avendo riguardo alla configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia, specialmente sotto il profilo del contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale che esclude la necessità della convivenza anche nel caso di un rapporto familiare di mero fatto, o comunque quando è cessata la convivenza, se permane il vincolo di coniugio o di filiazione;

sia il vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in quanto la sentenza esclude l'effettività di una stabile convivenza pur dando conto del rapporto di coniugio e dell'esistenza di una relazione sentimentale ed affettiva tra imputato e persona offesa.

La pronuncia, inoltre, è illogica, quando valorizza in una prospettiva assolutoria l'andamento altalenante nel tempo delle dichiarazioni della persona offesa: trattasi di comportamento tipico del denunciante del reato di maltrattamenti in famiglia.

3.Il commento. Costituisce, in effetti, un costante orientamento giurisprudenziale quello correttamente messo in luce dal P.G. ricorrente, per il quale l’ esistenza di un vincolo matrimoniale esclude la necessità della sussistenza di un rapporto di stabile convivenza tra autore e vittima (ex plurimis Cass. Pen., Sez. II, n. 30934 del 23/04/2015, Trotta, Rv. 264661; Cass. Pen., Sez. II, n.; Sez. VI, n. 33882 del 08/07/2014).

Tuttavia il caso di specie è molto particolare perché attribuisce rilievo alla circostanza che sia stata proprio la denunciante a “cercare” il suo maltrattatore (evidentemente, “il male voluto non è mai troppo”….),  per convincerlo a tornare con lei, ma l'uomo sarebbe rimasto fermo nella propria scelta di porre fine al rapporto ed  in qualche caso, per quanto è dato di comprendere, anziché profondersi in note di apprezzamento e di affetto, avrebbe perso la pazienza e reagito con violenza ai tentativi della donna di rimettere in piedi la precedente relazione.
Si è dunque in presenza di  azioni sicuramente illecite, cioè di percosse e di umiliazioni in danno della persona offesa, nondimeno prive del connotato dell'abitualità.
Si versa, in altre parole, nell’ambito  di un rapporto conflittuale, in cui le azioni originariamente contestate come maltrattamenti costituiscono non una reazione costante, ma occasionata solo da specifici comportamenti posti in essere dalla stessa persona offesa.
Donde il principio contenuto nella massima secondo il quale la condotta del presunto autore non è espressione della volontà di determinare nella vittima un disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita, ma solo …. un tentativo di difesa!

Trib. di Benevento, 27 dicembre 2016 n.2074, ai fini della configurabilità del reato de quo, richiede “… una condotta … tale da imporre un regime di vita vessatorio, mortificante, insostenibile”, per cui giunge ad escluderlo nel caso di un imputato,  ritenuto responsabile di atti di ingiuria e lesioni, ma sul conto del quale “nulla era stato riferito in ordine alla collocazione temporale degli stessi che erano stato sporadici”.Analogamente e in modo ancora più specifico Corte di Appello di Milano, Sez I, 25 gennaio 2016, n.307 afferma: “… allorquando risultino provati due soli episodi a più di diciotto mesi di distanza va assolto l’imputato dalla suddetta contestazione poiché difetta il requisito dell’abitualità delle condotte, essenziale per il reato ex art. 572 c.p.”. Infine va ricordato il precedete importante di Cass. Pen., Sez. Vi, 13 novembre 2015, n. 5258: “… l’assenza di atteggiamento di passiva soggezione della vittima di condotte astrattamente integranti maltrattamenti in famiglia ed anzi la  reattiva contrapposizione ai singoli episodi, esclude la configurabilità del reato”.

4. I precedenti. Ci limitiamo a citare un recente significativo intervento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sez. I, 02/03/2017,  n. 41237 Parti:T.  C. Italia.  Fonti:Guida al diritto 2017, 14, 102 (nota di: CASTELLANETA):

“le donne che subiscono violenza sono da qualificare come vittime particolarmente vulnerabili e, per non incorrere in una violazione dell'art. 2 della Convenzione europea che garantisce il diritto alla vita e dell'art. 3 che vieta trattamenti disumani e degradanti, le autorità nazionali devono adottare e applicare misure preventive e punitive adeguate a tutela delle donne.
L'inerzia o l'adozione di misure non effettive procura in modo certo una violazione della Convenzione anche perché la ripetizione di atti di violenza senza strumenti di intervento effettivi determina una situazione di grave impunità e una violazione della Convenzione.
Costituisce una violazione automatica del divieto di discriminazione in base al genere la ripetizione di atti di violenza senza interventi di protezione effettiva”.Vedi anche in Il penalista, 12.04.2017 (nota di: Perna) Guida al diritto 2017, 13, 49: “… 

Gli art. 2, comma 1 e 3 Cedu vanno letti ed interpretati unitamente all’art. 14 della Convenzione, che vieta ogni tipo di discriminazione, ed in particolare quella fondata sul sesso: un atteggiamento inerte, da parte della autorità nazionali, nei confronti delle violenze domestiche sulle donne, può costituire una forma di discriminazione”.







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