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La strana morte di Pietro Pacciani

Queste brevi note fanno seguito all’incarico che il legale delle famiglie dei due giovani francesi, uccisi a Scopeti nel 1985 dal “Mostro di Firenze”, ha recentemente conferito al Dr. Edoardo Franchi, medico legale, di esaminare la relazione peritale consegnata a suo tempo alla Procura della Repubblica di Firenze dal Prof. Giovanni Marello. Fu lui che espletò l’autopsia sul cadavere di Pietro Pacciani, concludendo che la sua morte (avvenuta il 22 febbraio 1998) fosse la conseguenza di cause naturali. Ad avviso di chi scrive vi è più di una ragione per poterne dubitare. Ecco le relative considerazioni, suddivise per punti.

1. La relazione del Prof. Giovanni Marello
Pietro Pacciani fu rinvenuto cadavere all’interno della propria abitazione il pomeriggio di domenica 22 febbraio 1998, riverso in posizione prona sul pavimento dell’ingresso. Secondo la testimonianza del cronista de La Nazione, inviato sul posto, Pacciani indossava una maglietta alzata fino al collo e dei pantaloni calati, quasi girati su un fianco. Le macchie ipostatiche non erano, stranamente, uniformi. La relazione di consulenza tecnica medico legale sul suo decesso, sottoscritta dal Prof. Giovanni Marello su incarico del Sost. Proc. Dr. Paolo Canessa, rispose ai quesiti affermando:

1) che la morte di Pietro Pacciani sarebbe avvenuta verso le ore 22.30 del giorno precedente;
2) che essa sarebbe dovuta sostanzialmente ad:
“insufficienza cardiaca con edema polmonare in recente infarto del miocardio…il Pacciani presentava esiti di pregressi infarti ed erano presenti segni di anasarca e di notevole stasi con epatomegalia con aspetto a noce moscata, oltre a gastrite emorragica diffusa, cistite ed ipertrofia prostatica”.

Tali conclusioni appaiono tuttavia in contrasto con le “considerazioni medico-legali sul decesso di Pietro Pacciani”, espresse dal consulente tecnico di parte del legale delle famiglie dei due francesi uccisi a Scopeti di San Casciano nel 1985, l’ultimo fra i delitti attribuiti al c.d. “Mostro di Firenze”. Il consulente, in breve, nulla obbietta “con gli elementi macroscopici a disposizione, tra i quali il tipico edema polmonare prodotto dallo scompenso acuto del cuore sinistro”.

Ugualmente spiega anche che “risalta però l’assoluta negatività dell’esame istologico del miocardio (del cuore) che, al di là di una miocardiosclerosi compatibile con le pregresse ischemie e comunque non necessariamente fatale, non dà alcuna dimostrazione degli aspetti tipici di un infarto acuto, (peraltro non sempre facili da individuare). È altrettanto vero che nessun altro meccanismo eziopatogenetico del decesso è oggi ipotizzabile sulla base dei reperti autoptici, fatta eccezione per un’ipotesi tossico venefica.”
Da quanto sopra si fa discendere che la morte di Pietro Pacciani non sia equiparabile a quella di un qualunque settantenne, afflitto dai vari “acciacchi” legati alla sua età, facendosi largo la possibilità, quindi, dell’avvelenamento. A conferma di ciò ci sono altri anche alcuni dettagli:

a) “Ipostasi nelle regioni declivi, ancora improntabili”
b) presenza negli alveoli polmonari di una “sostanza finemente granulare e debolmente eosinofila”
Le ipostasi, innanzitutto, farebbero supporre che Pacciani sia stato girato alcune ore dopo la morte da un qualcuno rimasto ignoto e introdottosi in casa. La relazione Marello non commenta questa ipotesi (né sarebbe stato compito suo) e lascia aperto pertanto l’interrogativo se vi sia stata o meno la manomissione del cadavere. Per quanto riguarda poi la sostanza trovata negli alveoli finemente granulare, rilevata nella perizia, non è precisato di che si tratti. Già sotto questi primi aspetti è assai dubbio che la morte di Pietro Pacciani possa essere attribuita ad un semplice infarto.

2. L’Eolus
L’Eolus, prodotto farmaceutico destinato ai sofferenti di asma ma controindicato per i cardiopatici come era Pacciani, viene in considerazione solo nel 2001: è in quell’anno, infatti, che il P.M. Proc. Dott. Paolo Canessa richiede una consulenza a due esperti docenti di tossicologia forense, la Professoressa Elisabetta Bertol e il Professor Francesco Mari. I due periti, il 30 ottobre 2001, consegnano al suddetto magistrato una perizia tecnica di 80 pagine, elaborata recuperando i tessuti di Pacciani immediatamente congelati. In una sintesi dell’elaborato tecnico, pubblicata in un articolo del quotidiano “Il Tirreno” dalla giornalista Cristina Orsini, viene spiegato che un principio attivo, il formoterolo, contenuto nell’Eolus, potrebbe avergli provocato l’infarto:
“è un medicinale molto forte che deve essere usato sotto diretto controllo medico, ha un effetto che copre un arco specifico di 12 ore ed ha specifiche controindicazioni soprattutto in soggetti predisposti: siccome provoca delle aritmie non viene prescritto ai malati di cuore, è controindicato negli stati di ipertensione e nei malati di diabete”.

Tutte patologie delle quali Pacciani soffriva, anche gravemente. Ma c’è di più, a dire dei due periti: “secondo i nostri accertamenti Pacciani, due o tre giorni prima di morire, aveva sospeso ogni terapia, sia quella per il cuore, sia quella per la pressione alta e il diabete”.
Si ignora chi possa averlo consigliato in tal senso, ma certo doveva trattarsi di un medico e pure di una persona influente, capace di avere rapporti con Pacciani, anche non per telefono (posto sotto controllo) e di presentarsi a casa sua senza preavviso, dando consigli o prescrivendo farmaci in contrasto con le patologie cardiache delle quali era sofferente, sino a convincerlo di affidarsi totalmente all’Eolus negli ultimi tempi. Medicinale che per Pacciani equivaleva al veleno.

Nella consulenza Marello nulla si dice, tanto meno vi si esprimono considerazioni sulle medicine assunte o dismesse da Pacciani, dovendo la stessa limitarsi a rispondere ai quesiti. Che non prendono in considerazione queste eventualità L’Eolus, di cui Pacciani aveva in disponibilità tre confezioni, sarebbe stato prescritto nell’aprile 1997 (quindi 10 mesi prima) dal medico curante, il quale conferma il proprio intervento perdue prescrizioni, mentre s’ignora come il paziente abbia potuto ottenere la terza confezione. Ancora il medico curante, che fu sentito dalla polizia il 31 ottobre 2001, rimane sul vago, descrive le condizioni di sporco e di disordine della casa di Pacciani, ammette di conoscere poco dei precedenti di salute del paziente, del quale deduceva le patologie in base alle prescrizioni delle quali aveva preso visione. Sul pregresso infarto ritiene che probabilmente gliene avesse parlato il dott. Lotti, sebbene tale patologia fosse ormai cosa arcinota, un fatto apparso a più riprese sulla stampa di tutta Italia e oggetto di dibattito al processo. Sull’Eolus, sebbene non ricordi di averglielo prescritto, riconosce la sua firma. A suo giudizio fu una prescrizione occasionale, per un paziente affetto da problemi di respirazione.  Da notare come Pacciani sulla scatola avesse annotato, di suo pugno, “SPRAI RESPIRO ARIA”, come se lo stesso avesse inteso appuntarsi per sua memoria la finalità di assunzione di quel farmaco (completamente errata, però….), seguendo i consigli impartiti da un qualche “medico” rimasto sconosciuto. Non sappiamo però se Pacciani fosse anche allergico. L’impiego di formoterolo rimane, secondo la migliore scienza ed esperienza, una vera follia terapeutica. Inoltre, la dottoressa che avrebbe dovuto scrivere sulla ricetta Asl anche la posologia, non lo fa. Nel fascicolo non ci sono maggiori spiegazioni. Non c’è l’eventuale verbale del dott. Lotti. Non ci sono i dati della cartella clinica di dimissione dall’Ospedale di Ponte a Niccheri. Appare certo, comunque, che Pacciani ad un certo momento, abbia smesso di seguire una cura (reputata non adatta) per prendere medicinali fortemente controindicati, andando incontro a morte nel breve tempo ( l’uso di alcool non c’entra nulla). Una verosimile conclusione è sostanzialmente che egli sia morto in conseguenza dei farmaci che gli erano stati prescritti e non per infarto. I vicini di casa nel verbale riferiscono che a Pacciani, negli ultimi tempi, “gli mancava il fiato, tossiva quasi continuamente”. Questo potrebbe essere attribuibile non solo alle patologie dalle quali era afflitto, ma agli effetti delle medicine per l’ipertensione. Quindi è verosimile che Pacciani abbia deciso di consultarsi con qualcuno, diverso dal medico curante o dal dott. Lotti (o perché troppo assenti o perché di loro non si fidava) oppure di far tesoro di una autorevole consulenza, fino al punto di modificare la sua terapia ed in pratica di avvelenarsi.

3. Le intercettazioni telefoniche e l’isolamento progressivo di Pacciani

Nel fascicolo sono anche presenti gli appunti dei funzionari che intercettavano Pacciani, i quali riportano in sintesi le conversazioni ascoltate. I verbali iniziano da settembre 1997 e giungono fino a pochi giorni dopo la morte di Pacciani. Risulta che Pacciani si telefonasse con poche persone: lo hanno chiamato solo la suora (che qualche volta fa da tramite con gli avvocati), saltuariamente qualche giornalista (Monastra o qualcuno dell’Ansa), raramente l’avvocato Valente, spesso degli ignoti (per fargli degli scherzi od offenderlo) e praticamente nessun altro. La suora a volte fa da “intermediario” (come l’avvocato Valente), a volte da “scudo”. In alcune telefonate di settembre e ottobre, appunto, Pacciani chiede alla suora di chiamare il proprio legale. In altre Pacciani si fa aggiornare dalla suora, ma sempre con grande cautela. Sono rarissimi i riferimenti a cose interessanti per le indagini, quasi nulli. Ma in una telefonata del 10.10.1997, sintetizzata come le altre nel brogliaccio, Pacciani dice all’avv. Valente:
“Pietro chiama Valente parla del Calamosca. Dice che lui ha parlato con il Calamosca della Bugli perché era in cella con lui nel 1951. Valente dice che Marazzita è in Tunisia”.
Il giorno stesso lo richiama la suora:
“S. Elisabetta richiama Pietro gli parla della Bugli dice che lei era in carcere nello stesso periodo e quindi non è possibile che avesse fatto un figlio con lei. Dice che chiacchierava con Calamosca. Parla del Vinci”.
Da queste telefonate pare che l’ambiente dei sardi fosse molto vicino a quello di Pacciani e potessero esserci conoscenze lontane nel tempo, acquisite in carcere. In ottobre Pacciani non sta bene ed è portato all’ospedale: a consigliarlo e fare per lui, c’è sempre suor Elisabetta. Questo lo si evince sempre dai brogliacci.
Il 25 ottobre alle 19.07:
“S. Elisabetta chiama Pietro e gli chiede le novità, lui dice che deve andare lunedì e chiede a S. Elisabetta di telefonare al Professore. Lei dice che ci penserà lei”.
Alle 19.31:
“S. Elisabetta richiama Pietro gli dice che a Ponte a Niccheri stasera c’è il dottore che lo aveva curato e che verrà l’ambulanza a prendere. Lei dice che ha avvisato Valente che deve telefonare al dottore”.
Alle 20.02:
“S. Elisabetta richiama dice che ha sentito Valente il quale ha avvisato i carabinieri che hanno avvisato loro il 118”.
In novembre Pacciani parla sempre con l’onnipresente suor Elisabetta, una vera segretaria tuttofare. Nella situazione Pacciani si scusa (tramite la suora) per un’intervista rilasciata senza il parere degli avvocati. Questo avviene il 30.11.1997:
“Pietro chiama S. Elisabetta dice che quelli della Falco lo hanno fatto intervistare da Visto, all’insaputa degli avvocati. Lui dice alla suora di dire agli avvocati che non è colpa sua”.
Il 2.12:
“S. Elisabetta chiama Pietro. Gli dice che ha telefonato a Valente il quale ha spedito una lettera per fermare la pubblicazione dell’intervista di Visto”.
Pietro Pacciani richiama il medico curante il 2 dicembre, poi ha un peggioramento, si sente male alla Coop il 21 dicembre. Il 25 dicembre si sente male di nuovo, respira a fatica e arriva la guardia medica. Poi ci sono altre telefonate con la S. Elisabetta che sollecita Pacciani a farsi ricoverare, ma lui non vuole. Sente freddo. Pacciani è solo, come se si fosse voluto intenzionalmente fare il vuoto intorno a lui negli ultimi mesi antecedenti al decesso. L’unica persona con la quale parla dei propri problemi di salute è sempre la suora, che lo consiglia su un nuovo ricovero e di accendere i termosifoni. Ma anche le telefonate con costei terminano misteriosamente il 9 febbraio. Così Pacciani muore, isolato da tutti, la notte del successivo 22. Qualche ora prima dell’exitus vi è una telefonata con una recente amicizia, nata in occasione del processo, alla quale accenna della presenza a casa sua di un’altra persona, un erborista, mai identificato.

4. La morte di Pietro Pacciani, una conseguenza “voluta e necessaria”?

Sulla sua morte si sommano, alle tante, le ipotesi provenienti dal pool difensivo di Pacciani. Carmelo Lavorino nel 2001 dichiara alla stampa che Pacciani sarebbe stato lentamente ucciso dal vero Mostro di Firenze:
“Pacciani era il ‘convitato di pietra’ in almeno altri due processi, era il perno attorno a cui tutto ruotava e per questo – secondo Lavorino – doveva morire”.
L’investigatore privato, 007 dell’ex pool di difesa organizzato dell’avvocato Nino Marazzita, è convinto che ad aver avvelenato lentamente Pacciani sia stato: “il grande sacerdote, Io chiamo così – spiega – il maniaco omicida”. Di analogo tenore era stata Suor Elisabetta nel 1998:
“Temeva che qualcuno di notte, entrasse in casa sua. Pacciani usciva sempre meno di casa. Andava al bar e tornava indietro. Aveva paura che qualcuno lo uccidesse.”
Già dopo la morte la suora ha da ridire sul medico curante: per quel che le diceva Pacciani lo seguiva poco, anche se in parte la giustifica, “Pacciani era una persona che si lavava poco e aveva un carattere scontroso”. Secondo chi lo rappresentava processualmente “tutto quello che è accaduto in questi ultimi mesi ci desta profondi sospetti (….). Abbiamo assistito a un atteggiamento pseudoprogressista – afferma il legale – che invece di recuperare l’uomo, di ricostruire un nucleo familiare, seppur profondamente lacerato, ha preferito dipingere Pacciani sempre come il mostro cattivo”. L’avvocato difensore di Pacciani, non risulta tuttavia , abbia mai chiamato il suo cliente, né che lo abbia mai fatto chiamare da persone di sua fiducia.
“Avevo promesso a Pacciani che avremmo ottenuto l’assoluzione a processo. Avevamo fatto un patto proprio pochi giorni fa quando lo avevo sentito al telefono. E ciò lo aveva rinfrancato”.
Talmente “rinfrancato” che, negli ultimi mesi, non vedeva quasi più nessuno, si svegliava tardi, si chiudeva in casa dopo le 18.30 e le sue condizioni di salute si erano deteriorate parecchio. Comunque che gli uomini del cosiddetto “Super- pool” della sua difesa seguissero davvero Pacciani è un po’ una chimera: Pacciani sembra al contrario abbandonato a sé stesso. Si fa il vuoto intorno a lui. Il poco che ufficialmente essi conoscono, lo apprendono per il tramite della suora.

Le condizioni di Pacciani erano tuttavia compromesse, al punto di potere scommettere che, senza le necessarie cure, egli sarebbe giunto a morte certa. L’isolamento, l’assenza di cure adeguate, l’assunzione di farmaci controindicati, potrebbero non essere stati del tutto casuali. La sua morte potrebbe non essere che il risultato necessario e voluto di queste premesse. Alla fine tutto è chiuso in maniera sin troppo disinvolta e superficiale: le ipostasi non sono prese in considerazione; gli esperti di criminologia lanciano sospetti su ipotetici “gran sacerdoti” etc. etc.; gli inquirenti si fermano troppo presto.

Sul piano oggettivo rilevano, invece, le condizioni in cui fu rinvenuto il cadavere. Dalle fotografie in atti emerge la stranezza del fatto che Pacciani fosse vestito e indossasse le scarpe, come se dovesse uscire o se fosse da poco rientrato. Poiché l’ora della morte si colloca a notte fonda (e poiché secondo i vicini Pacciani viveva da recluso o quasi) il fatto appare quantomeno anomalo. Con chi si era incontrato o con chi si sarebbe dovuto incontrare? Dove poteva essere diretto o da dove tornava?

Interrogativi, questi, rimasti, sempre, senza risposta. Le anomalie sono ancor più evidenti, se è vero che le luci di casa furono trovate tutte spente. Non è pensabile che Pacciani, il quale si sentiva male e che (secondo il Prof. Giovanni Marello) aveva in atto una crisi di diarrea, si trovasse in casa totalmente al buio. Anomalo è anche il fatto che avesse lasciato la porta di casa aperta, quando invece aveva l’abitudine di chiudersi dentro e serrare tutto, già nel tardo pomeriggio.

In conclusione: è plausibile che qualcuno abbia intenzionalmente provocato la morte di Pietro Pacciani. In tale eventualità è altrettanto plausibile che la sua fine sia stata decisa in un ambito più ampio, quello costituito da una o più persone, collocate ad un livello superiore ed agenti con lo scopo precipuo sia di ostacolare le indagini di polizia giudiziaria, sia di impedire la ricostruzione e l’attribuzione delle responsabilità per gli otto duplici omicidi di coppie di fidanzati, avvenuti in territorio della provincia di Firenze fra il 1968 ed il 1985.


   avv. Vieri Adriani & Luca Innocenti



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